Protagonisti dello sport non sono solo i campioni, gli atleti ma anche coloro che li sostengono.
Non esisterebbero idoli, eroi, senza le proprie tifoserie. Il tifo non è dunque semplice passione per una disciplina, una fede, un’ idea ma piuttosto una “febbre” come suggerisce la sua etimologia greca typhos che annebbia, offusca e toglie lucidità.
Sempre più spesso si assiste a episodi di violenza negli stadi, anche se purtroppo non è un fenomeno circoscritto solo all’ ambito calcistico ma è diffuso anche nelle tifoserie di sport differenti come il basket, probabilmente, con risonanze diverse perché differenti sono gli interessi economici in ballo.
Tuttavia il tifo più che una passione è un vero e proprio fenomeno sociale che sovente degenera in azioni negative, violente e perfino razziste quando diviene fanatismo.
Fanaticum, infatti, è colui che è invasato da un estro divino ed è mosso da devozione incondizionata verso qualunque idea o concezione in campo politico, religioso o sportivo. Non di rado, quindi, gli insulti dei tifosi degenerano in veri e propri atti di aggressione nei confronti delle squadre avversarie.
Una violenza non solo fisica ma anche verbale che colpisce chiunque metta in discussione la propria passione, fede o verità. Non è esente da insulti anche il settore giornalistico che intento per mestiere al racconto dei fatti si trova inconsapevolmente in contrasto con l’ idea di verità che il fanatico si è creato.
Ogni eccesso diviene preoccupante quando degenera in altro mettendo in pericolo ed in discussione chi opera per un servizio di pubblica informazione. L’ auspicio è quello che lo sport ispiri sentimenti sani d’ amore per I propri idoli ma anche di ammirazione per l’ avversario qualora risulti il più forte.
Competizione intesa come miglioramento e non come invidia, ossia, odio verso chi è più bravo. Come dice una strofa di una vecchia canzone bisogna saper perdere.